Nel progetto de ilGuado l’attenzione per l’ambiente è centrale quanto quella per la comunità.
Operando in un contesto sostanzialmente agricolo (pur con varie declinazioni), viene naturale cercare di tradurre questa attenzione in ogni attività, ma una visione d’insieme rimane essenziale per orientare ed ottimizzare gli sforzi: è il suggerimento che viene da un approccio agroecologico, vale a dire l’ambizione di applicare “categorie e princìpi di ordine ecologico alla progettazione e alla gestione di agroecosistemi sostenibili».
Ad esempio, ci si preoccupa (giustamente) delle coltivazioni e di come vengono gestite, ma a volte ci si dimentica di collocarle dentro un sistema; basterebbe pensare a quanta superficie abbiamo destinato alla “campagna” per rendersi conto di quante attenzioni dovremmo dedicare a quel sistema se non vogliamo che diventi uno spazio precluso alla biodiversità, con ripercussioni negative su tutti i fronti.
Nel nostro piccolo, pur avendo individuato diverse azioni direttamente negli appezzamenti coltivati, abbiamo voluto dare risalto ad un aspetto decisivo per gestire gli spazi attorno alle coltivazioni: l’impianto di siepi campestri.
Si potrebbe dire tantissimo al riguardo: ci limitiamo a sottolineare che le siepi campestri sono per definizione delle infrastrutture ecologiche che producono servizi ecosistemici sia per il territorio sia per l’agricoltura e incarnano visivamente il concetto di corridoio ecologico.
Purtroppo non ci pare che la loro l’importanza sia sufficientemente compresa: non solo si fatica a vedere nuovi impianti, ma si continuano a registrare scempi ai danni di quel poco che è rimasto
Noi abbiamo voluto dare l’esempio e, negli ultimi 6 anni, abbiamo piantato attorno all’orto e alla fattoria circa 650 metri lineari di siepi campestri, utilizzando più di 20 specie di piante autoctone.
Perché insistiamo tanto con le siepi campestri? Perché (come le infrastrutture ecologiche in generale: pensiamo a fasce inerbite e fossi…) possono essere realizzate e produrre servizi “a prescindere” dalle modalità di gestione delle coltivazioni e possono trasferire nell’agricoltura convenzionale i fondamenti di un approccio che ha la necessità di contaminare culturalmente, oltre le “barriere”…
Non si può negare che la questione abbia molte sfaccettature, anche oltre il piano tecnico-scientifico: il mondo agricolo ha il dito puntato di una parte dell’opinione pubblica e le richieste di una svolta hanno ormai raggiunto le più alte istituzioni, ma bisognerebbe ammettere che non sempre le reazioni sono state all’altezza del ruolo.
In questa luce, le infrastrutture ecologiche possono avere un duplice ruolo, uno molto pratico (produrre/offrire servizi ecosistemici) e l’altro più comunicativo (restituire alle campagne una veste che aiuti a ricucire il legame con la popolazione).
In realtà anche il ruolo “d’immagine” non è un greenwashing, ma tocca un altro aspetto molto concreto e riconosciuto a livello paesaggistico (valori estetico-culturali): una campagna attraversata da corridoi ecologici (anche su scala territoriale) non si limita a connettersi alla biodiversità, ma torna a relazionarsi…
Si può fare: vediamo agricoltori fasciarsi la testa per il timore di ulteriori costi che ricadrebbero su di loro, ma (auspicando sostegni pubblici) inviterei a tenere i piedi per terra e cominciare con quel fatidico poco che è sempre meglio di niente. Ci risulta difficile da accettare che ci siano aziende agricole che non possano farsi carico dell’impianto (e della gestione, ovviamente) di un centinaio di metri lineari di siepe lungo un confine o un fosso. Noi abbiamo fatto tutto da soli e oltre a più di 6 volte tanto di nuovi impianti, abbiamo selezionato la vegetazione spontanea lungo qualche altro centinaio di metri di fossi, rinaturalizzandoli e valorizzandoli.
Ci servono campagne che rifuggano la banalizzazione; ci serve quella complessità che apre la strada alla biodiversità, fondamentale per la stessa agricoltura. Si potrebbe agire su molti fronti e fare progetti ambiziosi, ma nel mentre piantiamo siepi, che hanno un ottimo rapporto costi/benefici!
Per finire, ci piace ricordare che si chiamano siepi campestri (qualcuno le chiama siepi naturalistiche), ma nulla osta a piantarle ovunque: le piante autoctone oltre a rappresentare un valore per il territorio e ad essere utili, sono anche molto belle e offrono possibilità di reinterpretare il verde ornamentale e di offrire delle opportunità di “contaminazione” anche al di fuori dei filoni di giardinaggio “wildlife friendly”. Sarebbe bello vedere qualche esempio in aree di verde pubblico estensivo: varrebbe più di mille parole!
Se avete piacere di approfondire, vi lasciamo alcuni link per orientarvi tra i molti reperibili in rete:
Paesaggio colturale per uomo e natura
Arbusti di pianura
La grande utilità delle siepi
Depliant per la progettazione e impianto siepi
Qui un doveroso riferimento ai nostri vivai forestali regionali, che in autunno e in primavera possono fornire il materiale vegetale adatto agli impianti.
Qui infine potete invece trovare una carrellata a partire dalla nostra esperienza diretta, con link botanici sulle singole specie utilizzate.
Mio papà da 40 anni cura una siepe che circonda su tre lati un ettaro di terreno. Qualche arbusto e tante specie autoctone di alberi da cui ricava legna per il caminetto. E come lui c’è ne sono tanti. Se aspettiamo l’agricoltore professionista… Ma ci vuole tempo, passione e salute fisica, e qualche figlio o amico che ti aiuti.
W le siepi!
viva!